Nella sua relazione innanzi alla Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati nell’ambito dell’Indagine conoscitiva in materia di "distribuzione diretta" dei farmaci per il tramite delle strutture sanitarie pubbliche e di "distribuzione per conto" per il tramite delle farmacie, il presidente del Sunifar Gianni Petrosillo ha illustrato i dati di un’analisi sulla condotta sulla distribuzione diretta ospedaliera o tramite le strutture delle Aziende Sanitarie locali. Lo studio, realizzato nel 2021, ha preso in considerazione i seguenti aspetti: la prescrizione in dimissione; il primo ciclo di terapia; l’assistenza domiciliare integrata; i farmaci inclusi nel PHT dispensati dalla farmacia ospedaliera a pazienti non ricoverati; i farmaci distribuiti direttamente dalle strutture ASL ai pazienti non ricoverati.
L’analisi - che è stata limitata esclusivamente ai famaci di fascia A) e fascia A) con Nota Aifa e, pertanto, solo ai farmaci che potrebbero essere dispensati nelle farmacie convenzionate - ha evidenziato un totale complessivo stimato in circa 39,7 milioni di confezioni.
Come riportato
nella tabella, appare evidente la difformità di distribuzione che risulta dal confronto delle confezioni erogate con questa modalità nelle diverse regioni, con consumi che vanno da un minimo 267 confezioni/anno/per mille abitanti della Lombardia a 1.526 confezioni/anno/per mille abitanti per le Prov. Autonome di Trento e Bolzano.
Tali enormi differenze, in sé, dimostrano innanzitutto quanto non sia indispensabile la distribuzione diretta, poiché, contrariamente, si registrerebbero segnalazioni di disagio nelle regioni dove questo modello non è affatto sviluppato. In secondo luogo, è da notare che non esiste una stretta proporzionalità tra distribuzione diretta e risparmio
Da ultimo, non si deve trascurare come questa grande disomogeneità regionale comporti un diverso diretto impatto economico sul cittadino in relazione alle ore di lavoro perse e al costo per il trasporto
Dell’ormai riconosciuta criticità della distribuzione diretta se ne ha contezza dalle stesse proposte di nuovi modelli, secondo cui il disagio del paziente e i problemi organizzativi dell’ospedale si risolverebbero con la consegna del farmaco dall’ospedale al domicilio del paziente; modelli che assorbirebbero oggi risorse del PNRR, ma che non sarebbero auto-sostenibili nel momento in cui queste risorse verranno meno; modelli che, con la creazione di una dannosa distanza tra il paziente e il farmacista, sono in netto contrasto con la verifica di aderenza, la compliance e il corretto uso del farmaco.
Dal punto di vista professionale e della dotazione tecnologica, le farmacie sono perfettamente in grado di erogare i farmaci della distribuzione diretta che non necessitano di somministrazione in ambito protetto. La loro presenza capillare è a garanzia di pari livello di assistenza anche nelle aree più isolate del Paese e non presenta alcun limite di capacità distributiva.
Per contro, la distribuzione diretta è indubbiamente applicata con enorme variabilità regionale per almeno 40 milioni di confezioni che, fatta eccezione per il primo ciclo di terapia (assicurato anche nelle regioni con bassissimo ricorso a questo modello) non implicano motivazioni di carattere sanitario da giustificare una distribuzione in ambito ospedaliero.
A fronte della ricerca di nuovi modelli di distribuzione diretta che, nel tentativo di risolvere i disagi di carattere logistico, comportano costi aggiuntivi e distanza tra professionista e paziente, ci sarebbe veramente da farsi domande sull’opportunità di mantenere e implementare modelli di distribuzione parallela alla rete delle farmacie convenzionate.