Clima sempre più caldo attorno alla Manovra per il 2018, che oggi a Palazzo Madama dovrebbe cominciare l’iter parlamentare. Il testo uscito dal Consiglio dei Ministri (con la formula «salvo intese», che lascia aperta la porta a ritocchi dell’ultimo minuto) prevede per la Sanità un elenco di misure ridotto all’osso, tra le quali soltanto due degne di menzione: la regolarizzazione dei ripiani a carico delle aziende farmaceutiche sugli sfondamenti 2013-2016 (con le regole per il payback dell’ultimo anno e il superamento dei contenziosi relativi ai precedenti) e il monitoraggio degli effetti esercitati sulla spesa sanitaria dai farmaci innovativi (oncologici e non), per verificare congruità e meccanismi dei due fondi istituiti dal Ministero allo scopo di assicurarne la rimborsabilità.
Mancano del tutto, invece, riferimenti a risorse aggiuntive per i rinnovi di contratti e convenzioni, i cui eventuali aumenti - dunque - dovrebbero essere finanziati dalle Regioni con quanto già c’è nel Fondo sanitario nazionale. Il tema era già stato al centro, venerdì, di un botta e risposta tra il presidente del Comitato di settore Sanità delle Regioni, Massimo Garavaglia, e il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, con l’assessore al Bilancio della Lombardia a sostenere che sul piatto mancano 1,3 miliardi e il Ministro a ricordare che le Regioni avrebbero dovuto accantonare le risorse per i contratti con adeguato anticipo.
Ieri, invece, sono scesi in campo i sindacati dei medici, che hanno invitato Governo e Regioni a non giocare col cerino sulla pelle di malati e operatori. «La Legge di bilancio 2018» commenta per esempio Anaao-Assomed, il sindacato degli ospedalieri più rappresentantivo «arriva oggi in Parlamento con un incremento nominale del Fsn di 1 miliardo, ma reale di soli 400 milioni, senza un finanziamento ad hoc per contratti e convenzioni bloccati da 8 anni». Critica sul rimpallo di responsabilità tra Regioni e Governo anche il secondo sindacato dei medici ospedalieri, la Cimo: «Nessuno ha il coraggio di dire con chiarezza commenta Guido Quici, presidente nazionale « che la sanità italiana è in fase di dismissione e che quella pubblica è in saldo. Dopo la drastica cura dimagrante a danno delle strutture ospedaliere, dopo l'enunciazione di un Piano delle cronicità non operativo perché non finanziato, dopo l'aumento esponenziale dell'out of pocket a danno dei cittadini, dopo la progressiva riduzione dell'offerta sanitaria nei presidi ospedalieri e negli ambulatori, eccoci arrivati all'ultimo stadio di un disegno perverso: demotivare il personale sanitario per aprire definitivamente la strada alla sanità privata e a chi ha interessi correlati».
Preoccupati anche i medici di famiglia, che già venerdì avevano diffuso una nota nella quale si ricordava che «senza investimenti economici, in particolare sulle risorse umane, non è possibile realizzare un'evoluzione della medicina del territorio». Non resta che vedere che cosa uscirà dal cilindro dell’iter parlamentare. (AS)